"Il bue che dice cornuto all'asino". "Lo straccio parla male del cencio". Tenete ben fissi questi detti mentre leggete. Anche "Unni mi mettu mi mettu u mari e' salatu" potrebbe andare bene.
Da ragazzino ero convinto che gli Dei mi avessero parlato. Veramente. Lo confesso. Non me ne vergogno piu'. Mi mostrarono molte cose, incantandomi con parole che non voglio e non posso riferire. Mi palesarono la mia via (loro dicevano la via dell'Uomo): era bella, tortuosa ma chiara, ripida ma praticabile. Ed era li', proprio davanti all'uscio della mia casa. Mi avrebbe portato in mondi sconosciuti dove i sapienti insegnavano al mondo come essere "regolato". Bello, pensai.
Soprattutto, gli Dei mi fecero un dono a dir poco strabiliante: mi accorsi che uomini meravigliosi comunicavano direttamente, direi amichevolmente, con me. Iniziai cosi' a sentire estasiato le parole di Socrate. Seduto nelle antiche vie di Atene Lo ascoltavo discutere sull'anima e su come essa lascia il corpo nel momento della morte, sull'Amore che muove il mondo legando gli opposti, sulla conoscenza e sulle Idee. Poi guardavo Archimede di Siracusa compiere i suoi studi sui fluidi e sulle macchine, troppo preso per accorgersi che stava per essere ucciso. Ascoltavo suonare Corelli a Roma, volando sulle note del suo violino. Ho partecipato perfino alla scoperta dei satelliti di Giove da parte di Galileo; me li mostro' entusiasta, personalmente!
Diavolo (chissa' perche' ho usato proprio questa esclamazione), dovevo parlarne con qualcuno, condividere le mie idee, le mie emozioni. Anche i miei compagni di viaggio, pensai, avranno parlato con uomini notevoli, magari personaggi a me sconosciuti. Che meravigliosa occasione di conoscenza e di apertura totale verso i miei simili! D'altro canto il mio Maestro mi diceva che, se esiste una via per la sapienza, essa passava dalle piazze, dove il re era il dialogo. Quindi tutto contento, scodinzolante, andai dal prossimo. "Senti, amico, ho incontrato una mente eccelsa che mi mostro' l' utilizzo delle leve, mi fece osservare che con una piccola forza si puo' spostare un enorme peso; ma gli Dei mi spiegarono che tutto ha un costo, che per compiere un'azione ci vuole un'applicazione, cosi' ci sto riflettendo, tu che ne pensi?". Lui, sorridente, mi rispose "per piazza Cairoli devi andare di la!". E mi indico' con le sue due mani due vie diverse. Confesso che rimasi perplesso. Non avevo capito cio' che mi volesse dire. Dovevo riflettere, approfondire. Badate non ero sconfortato, non ancora, anzi piuttosto eccitato. Le sorprese mi stimolavano allora. Ringraziandolo presi una direzione, diversa dalle due mostrate dal mio prossimo (ero, e sono, un animale cocciuto). Purtroppo altri incontri si susseguirono simili. Alcuni erano gentili e disponibili, altri duri e altisonanti, altri freddi e scostanti.
Una volta mi ritrovai con un gruppetto di compagni e uno di loro aveva una scarpa slacciata e incespicava frequentemente. Gli dissi "amico, fermiamoci un attimo e allacciati la scarpa" ed egli mi rispose piuttosto irritato "senti, per favore non fare filosofia!". Filosofia, che parola strana: ognuno le da' un significato diverso. Suppongo che sia il destino di tutte le parole, in effetti. In un campo dissi al mio prossimo "senti il canto della cinciallegra, e' bello no?", mi rispose "non so, non ho la cultura adatta". Che cultura serve ad ascoltare il canto di un uccello? Poi cos'e' la cultura? Bah, tanto ne so' quanto ne sapevo, tanto per usare le parole di mia nonna. Un inciso: ultimamente sto sinceramente pensando che Socrate avrebbe appreso molto dalla mia dolce nonnina; ma questa e' un'altra storia.
In una piazza senti' un gran vociare. "Compagni, solleviamoci. I padroni hanno tenuto troppo tempo il loro piede sulle nostre teste!". Mi avvicinai interessato e chiesi al mio prossimo di spiegarmi. Lui inizio': "vedi, compagno, il popolo e' rappresentato come un'unita', ma la moltitudine non e' rappresentabile perche' e' mostruosa rispetto ai razionalismi teleologici e trascendentali della modernita'". Ah, Aah, l'ho beccato adesso. Uno che parla piu' strambo di me. E di tanto anche. Dira' cose interessanti e profonde. Approfondiamo, indaghiamo, riflettiamo. Notai, che adesso, ammuotolito ed assorto, il mio prossimo fissava in una particolare direzione. Guardai e vidi una giovane ragazza, molto carina. Dissi sorridendo al mio interlocutore che potevamo avvicinarci e parlare con lei, vedere cosa ne pensasse. Lui mi disse: "ha delle gran belle tette". Sorpreso, ne convenni e' mi assali' il dubbio che costui era veramente un saggio. Gli dissi che volevo diventare il suo allievo. Ma lui mi rispose "vaffanculo tu e la moltitudine; vattene che quella e' mia!". Ok, va bene cosi'. Con la testa dolorante mi allontanai, pensando ancora che mi occorreva approfondire, indagare, riflettere sull'accaduto.
Adesso si, ero piuttosto sconfortato. Non capivo quello che il mio prossimo mi diceva. Nessun saggio della terra me lo aveva spiegato. Evidentemente non avevo capito un granche'.
Girovagando vidi la Luna. Era cosi' bella, commovente. La indicai ad un compagno di viaggio, ma notai che stava fissando il mio dito indice. Ah, questa la so! L'ho letta! Costui e' uno stolto che guarda il dito che indica, invece che la Luna. Tutto torna; una cosa l'ho messa al suo posto. Poi guardai il mio dito e notai che era deforme. Stava andando addirittura in pezzi. Ripreso il viaggio, grattandomi la testa ripensai alla storia dello stolto, della luna e del dito. Forse dovevo approfondire, indagare, riflettere, ma ero stanco e il viaggio era cosi' lungo.
Vagando per un posto arido, assorto, diedi un calcio ad un ciottolo, facendolo rotolare lontano. Dei viandanti lo videro e mi si avvicinarono "Ma sei bravissimo! Un talento!". Perplesso, spiegai loro che non avevo fatto niente di importante. Loro mi risposero che sicuramente scherzavo, che quello che sapevo fare era unico. Io, confuso ma contento che qualcuno mi parlasse, diedi un altro calcio ad un altro ciottolo. "Bello! Grandioso! Devi fare un lavoro per noi; assolutamente". Li segui', e mi spiegarono che dovevo rompere dei grandi massi, farne piccoli ciottoli, prenderli a calci spostandoli un po' in la ed, infine, rincollarli per riottenere i massi originali. Mi sembro' strano, ma almeno avevo un obiettivo, uno scopo e, cosi', acconsenti'. Ed e' quello che attualmente faccio. Sposto massi, rompendoli e rincollandoli. Non e' poi cosi' male.
Avrei altre cose da dirvi, ma non voglio occupare troppo spazio, vi avro' annoiato gia' troppo. Mi sa che gli Dei mi hanno preso in giro. Li sento dall'Olimpo ridere. La via che mi hanno mostrato e' circolare e non ne so piu' uscire. Ma tant'e'.
Adesso vi saluto, amici, e vi auguro di stare sereni. Auguri piu' "importanti" non ve ne so fare. Adesso il Pavone chiude la sua coda colorata e se ne va'. Ad approfondire. Ad indagare. A riflettere.