I feel that ice is slowly melting

"se devo essere sincera.." "No! pecche mica... puoi dire pure una bugia no cioè siamo tutt'e due gli n'si... a coppia..non lo so cioé... resta" (Massimo Troisi: Scusate il ritardo)

"Little darling, the smile returning to their faces.
Little darling, it seems like years since it's been here." (George Harrison)

giovedì 31 gennaio 2008

Il pappagallo (Come dare una mano ad un collega)

Venezia era intristita dai miasmi dei canali, mescolati alla foschia umida di una notte di plenilunio. Un'ombra attraversava un ponte, stringeva i pugni per il freddo e i denti si chiudevano freneticamente a mo di tagliola, producendo un rumore di telescrivente che ingigantiva nel silenzio della mezzanotte. Lesta come un gatto, l'ombra saltava da un canale all'altro, bucando la nebbia densa. Giunse a piazza San Marco e sotto un lampione si bloccò. La doccia di luce la bagnò, liberandola dalla misteriosa veste oscura; chi fosse stato a dieci passi da quel lampione avrebbe visto un corpo filiforme, alto come un domopack di un metro e novanta, con una borsa di pelle a tracolla. Era il Postino!

Dieci minuti più tardi, dalla direzione opposta da quale il Postino era arrivato, si muoveva verso di lui un tizio con un berretto. La falcata era ampia e decisa, tagliò diagonalmente la piazza in soli trentatré passi e raggiunse il Postino. I due confabularono a lungo sotto il lampione, poi il Postino tirò dalla borsa un pacco e lo consegno allo sconosciuto, questi divelse con le forti mani lo spago che sigillava la confezione e scartò il contenuto.

Un cubano a nome Fernadez, ubriaco come una scimmia ubriaca, barcollava a centoventi metri di distanza, quando udì uno sparo.

Un gabbiano che sorvolava il cielo grigio di quella piazza, vide il Postino crollare a terra e lo sconosciuto fuggire.


Come il Postino finì in un ospedale dell'Havana è un mistero, immaginatelo voi se ci riuscite!


L'infermiera accorse nella stanza del Pavone, “..la mano è stata trovata” disse. Il Pavone esultò e rivolgendosi all'uomo che giaceva nel letto vicino, proferì le seguenti parole: ” ...eccellente amico mio!”.

L'uomo era un famoso pirata, aveva depredato centinaia di navi. Verso la fine della sua straordinaria carriera aveva dato la caccia ad un tesoro su un isola dispersa nel pacifico, ed era riuscito dopo lunghe peripezie a farla franca, ma un imprevisto rovinò la sua geniale fuga. La barca sulla quale trasportava il tesoro aveva una falla: calò a picco nel mezzo del pacifico assieme al tesoro. Uno squalo di sette metri e di duecentocinquanta chili che nuotava da quelle parti, avverti la presenza del pirata e non ci pensò due volte a staccargli una gamba.

Long John Silver urlò di dolore, il sonar di un peschereccio avvertì l'sos e lo prese a bordo. In quella imbarcazione un falegname a nome mastro Ciliegia, famoso alcolizzato dal naso gonfio di vene sanguinolente, gli fabbricò una dozzinale gamba di legno. Il peschereccio era diretto a Cuba, trasportava gamberi e di contrabbando i sette nani, questi erano stati acquistati dal Supremo per scavare un tunnel, ma racconteremo in un'altra occasione questa storia.

Long John Silver, che per comodità chiameremo Long John Silver, fu trasportato su una lettiga in un ospedale dell'Havana, anche in questo caso usate l'immaginazione, perché il pirata capitò nella stessa stanza del Pavone. I due legarono subito e misero a punto un piano: uccidere il Postino.


“Serve una gamba?” chiese l'infermiera e Long John Silver annuì.

“Anche un cuore”, sospirò un anziano signore quattro letti più in là.

“A me un rene e l'orecchio destro” ...”A me la milza” ...”Io ho bisogno di un naso e del..insomma..è lungo il suo...si...come è messo a centimetri in mezzo a le gambe?”

Il Postino fu venduto a trance e il Pavone ebbe la mano e il pirata la gamba.

Anche il Pavone era un pirata, ma Long John Silver notò che “..un pirata che si rispetti ha bisogno di un fedele compagno, un volatile capace di volare e riferire. Un pappagallo!”.

Il Pavone con la sua nuova mano pigiò un pulsante e un infermiera accorse ai piedi del suo letto.

“Voglio un pappagallo, faccia presto!”

La donna ritornò con un raro esemplare di cocorito, forse l'ultimo della sua specie. Il pennuto era privo di penne, aveva il corpo liscio come se fosse di plastica, e sulla schiena una maniglia, risultato di anni e anni di evoluzione.

L'infermiera, infilò il pennuto, usatela sta benedetta immaginazione; dicevo, infilò il pennuto sotto le coperte e il Pavone provò sollievo, ora era un pirata di rispetto.

mercoledì 30 gennaio 2008

Mi sono perso Dicembre

Sono da poco uscito dalle tenebre che mi hanno oppresso per tutto il mese di dicembre. Cosi' ho passato un po' di tempo a leggere i vari simpatici post del mese della Natività e mi sono messo a pensare. Un mese interessante non vi e' alcun dubbio. Mi sono perso stimolanti "polemiche" e vari voli pindarici. Un inciso, tanto per sgombrare il campo da fraintendimenti: per me la parola "polemica" ha poco o niente di negativo; trovo invece che dalle "polemiche", certo quando non sono cieche, nasce conoscenza (altra parola che meriterebbe una "polemica" a parte).
Tornando al discorso, ho notato con piacere le dissertazioni profetiche, che apprezzo molto, proprio perche' offrono spunto a riflessioni. Adesso volevo esprimere una di queste riflessioni che si e' affacciata biricchina alla mia mente. Concordo in molto dello scritto del profeta, solo sento un po' di disagio quando l'imperativo, o comunque la forma retorica esortativa, supera di molto l'indicativo. Penso che ognuno di noi abbia passato strani momenti nella propria esistenza mortale. Non sempre ci siamo comportati come avremmo voluto. Frustrazioni e rimpianti fanno parte della vita dell'Uomo dal peccato originale in poi. Penso che ognuno vive al meglio che puo' e ognuno dovrebbe guardare ai difetti degli altri come specchio dei propri.
Non sono credente, ma il cristianesimo mi ha sempre affascinato, in particolare per un bellissimo concetto: la compassione, intesa proprio come compartecipazione del dolore (cazzo che concetto profondo).

Detto questo, naturalmente preciso che sono MOLTO lontano da fare come ho detto, ma mi rifugio codardamente nel pensiero dello stoico Seneca (che ne sapeva una piu' del diavolo).

Il cognato di vomito

Vomito è un brav’uomo, non è bello e neanche di buone maniere ma è d’animo gentile. Un bonaccione, uno che prende a cuore tutti anche gli sfigati come il Profeta. Purtroppo prende a cuore proprio tutti e nei tutti c’è stato anche il losco. Il losco è un essere ripugnante. Fisicamente, non fosse per gli scarafaggi che popolano la sua chioma, sarebbe anche un bell’uomo ma intellettualmente fa veramente cagare! Un approfittatore, uno sfasciafamiglie, insomma un reietto della società. Cosa ci farà mai un brav’uomo come Vomito con un insulso comunista con i soldi degli altri come il losco?
Le disgrazie non vengono mai da sole, nella migliore delle ipotesi vengono a coppia, come accadde a Vomito anni fà. E sì! Perchè il losco ha due sorelle! Due gemelle eterozigote! Clara e Laria.

Una Bella! Maaaah Bella! L’altra……. Brutta. Ma Brutta!!!!!!!!!

Le due ragazze, che con il losco per loro fortuna non ci azzeccavano niente, avevano vissuto una vita sana e rispettosa, tutto il contrario dell’insulso fratello. Le due fanciulle frequentavano il liceo classico. Tutto accadde durante la gita del quinto superiore. A quel tempo Vomito era un giovanotto alle prime armi, era da poco stato inizato all’arte del vino; ma come si dice: il buon giorno si vede dal mattino. Vomito prometteva veramente bene, si prospettava per lui una carriera folgorante! Già alla tenera età di 19 anni la prima partecipazione a “Mr. Bevanda” lo aveva proclamato “Lo Re”. Mr. Bevanda, una competizione che ha luogo a Longi un paesino del Messinese, ancora oggi è il titolo più ambito dai bevitori di tutto il mondo.
Tornando alle due gemelle Clara e Laria, ecco cosa accadde. La gita del quinto superiore ebbe luogo in quel di Firenze. Gia! Firenze! Una delle più belle se non la più bella città italiana. Chi non ha fatto follie alla gita del quinto superiore? Clara e Laria non fecero eccezzione. Perchè fermarsi a scrutare solo Firenze?. Le ragazze decisero di farsi tutta la Toscana! D’altronde avevano seguito degli studi classici. Come le si poteva condannare se, prese dalla furia ormonale delle fanciulle di quell’età, avevano deciso di far proprie le storie, le arti e soprattutto i mestieri più antichi del mondo. Una notte, le due genuine ragazze, che mai avevano conosciuto il nettare degli dei, scapparano dall’”Hotel Casazza”, dove risiedevano, spingendosi fino in un antica osteria di tradizione centenaria: l’”Osteria della toppa”. Le giovani fanciulle, ignare degli effetti del nettare divino, “si ritrovarano in una selva oscura che la diritta via era smarrita”, già dopo il terzo risucchio. Eh sì! erano così “inesperte” che decisero di bere il divin nettare direttamente dalla cannuccia. Passarano pochi minuti; le due ragazze furono travolte dal martellante ritmo pneumatico dei suonatori etnici che frequentano le osterie toscane: le fisarmoniche, le chitarre i mandolini le conivolsero in una avvinghiante ballata; un’ammucchiata, altro che discoteca.
Le gemelle avevano studiato al conservatorio ed oltre all’orecchio possedevano anche la tecnica. Sentirle suonare il clarinetto era un idillio e non fu difficile dimostrare il loro talento duettando alla zampogna.
Si esibirono in: “La Primavera” di “Vivaldi”. Un’orchestra! Una sinfonia! Si sa che gli uccelli in primavera cinguettano, ma quella notte sembravano tutti usignoli, tanto che alla fine si commossero del loro stesso canto finendo in lacrime. La “Primavara” di “Vivaldi” era sfociata in una nuova opera: “Il Pianto degli Uccelli” di “le sorelle del losco”.
Di quella sera nessuno dice di ricordare. Chi c’era, era ubriaco per sua stessa ammissione e quindi per la legge incapace di intendere e di volere. I fatti purtroppo restano. All’”Osteria della toppa” c’era anche Vomito, giovane ed inerme di fronte al nettare divino.
Nel frattempo, all’”Hotel casazza” qualcuno si accorse dell’evasione delle gemelle. Il il Prof. Sventracapra, docente di scienze biologiche, accortosi nella notte che le due ragazze non erano in camera ed astinenetemente preoccupato aveva iniziato a cercarle. Le trovò il mattino seguente che giacevano nel fienile dell’”osteria della toppa” ignude assieme a Vomito, ad un toro ed ad un asino scecchigno.
La legge di Murphy ammonisce: “Se una cosa può andare male, lo farà”. Il corollario è anche peggio: “Se una cosa ha vari modi per andare male, sceglierà il peggiore”. Così fu. Una delle gemelle era stata ingravidata! Difficile dire da chi, a quel tempo non c’era neanche l’esame del DNA.
Gli animalisti difesero a spada tratta il toro e l’asino scecchigno.
Quale gemella? Eh si!!!! proprio Laria la brutta. Purtroppo per Vomito, questa volta il nettare oltre che divino era stato anche fatale.
Non mi stancherò mai di dirlo Vomito è veramente un brav’uomo. Non esitò affatto e sposo Laria la primavera successiva. Gli uccelli in realtà avevano cominciato a cantare ed a piangere molto prima. Infatti per lavare l’onta del disonore, bisognava trovare un marito anche per Clara. Il Prof. Sventracapra, personcina per bene e di nobile casata, si propose e fu benevolmente accolto dalla famiglia del losco. A presenziare le cerimonie nuziali fu Don Bastiano, un prete scomunicato a causa delle sue malsane tendenze sessuali. Don Bastiano nonostante la scomunica non aveva mai smesso di diffondere il verbo. Aveva preso dimora in quel di Firenze, nei pressi di Via Dos, creando una diocesi di cui si era anche proclamato arcivescovo. Don Bastiano prese a cuore tanti aitanti giovani disadattati fondando una comunità che ancora oggi fa proseliti in tutto il mondo: “La comunità di Via Dos”.
La comumità di Via Dos era composta da giovani, docili e gentili nonostante il loro aspetto spartano. Erano stranamente tutti alti, muscolosi e prestanti; ammesso che si potesse fare una distinzione, era veramente difficile discernere i maschi dalle femmine.
Il losco, che a quel tempo non aveva ancora maturato una propria identità sessuale, fu subito affascinato dai “membri” della comunità. Si unì subito a loro, affezionandosi in particolare ad un tale Alfio Sguainanervo. Per entrare a far parte della comunità, bisognava però superare un rito di iniziazione presieduto da Don Bastiano in persona. Il padrino era scelto dall’iniziando fra gli appartenenti alla comunità. Il losco scelse senza esitare l’amico Sguainanervo. Il rito di iniziazione consisteva in quanto segue: mentre Don Bastiano si faceva una fiorentina al sangue con l’osso, tutti gli appartenenti alla comunità, uno massimo due alla volta, dovevano fare altrettanto con l’iniziando. Il padrino godeva dello jus primae noctis. Per il losco l’inizio dell’iniziazione fu veramente duro, poi svenne e di ciò che accadde dice di non ricordare nulla. Il mattino seguente si risveglio per primo. Un dolore pungente attraversava tutto il suo esile corpo. Una fitta lo attanagliava dal duodeno alla gola. Tutti i membri della comunità di Via Dos, con angelica espressione, dormirono sereni e soddisfatti ancora per parecchie ore.
Una volta entrati a far parte della comunità era difficile uscirne; il losco, poi, era il più tenero di tutti: pelle delicata, guanciotte rosa, glutei bianchi; agli occhi degli altri sembrava una bistecca fiorentina al sangue con l’osso buco. Fu solo grazie al prezioso e tempestivo intervento di Vomito che, spinto dalle amorevoli pressioni di Laria, intercedette con Don Bastiano affinche liberasse il losco dai voti presi. Vomito, a titolo di ringraziamento, si impegno a versare a Don Bastiano 600 otri di vino, 300 pezze di pecorino e 1800 forme di pane casereccio l’anno, per 5 anni. Una disgrazia, praticamente il 50% dei prodotti della fattoria di Vomito.
Non mi stanco ancora a dirlo: Vomito è veramente un brav’uomo; invece di vedere il bicchiere mezzo vuoto, lo vedeva mezzo pieno. Per non fare andare la fattoria in malora, Vomito restava a lavorare nei campi anche di notte; sempre meglio che tornare a casa dove ad aspettarlo c’erano le amorevoli attenzioni di Laria.
Il losco da allora si sente in debito con il cognato!
Eh già! perchè?

Vomito teneva il losco sotto braccio quando tutti, imitando Nelson, non facevano altro che puntargli l'indice al petto proferendogli: “AhAh! AhAh! AhAH! AhAh! AhAh!……….”

Vomito era accanto al losco quando tutti l’avevano abbandonato su una panchina fredda di Via Dos!

Vomito su quella panchina fredda non aveva esitato a riscaldarlo, spendendo il residuo calore delle sue mani, quando le uniche parole che il losco riusciva a proferire erano: “sento freddo, sento freddo, sento freddo”.

Vomito, su quella panchina fredda, gli faceva i giochi di prestiggio facendo uscire le conigliette dal cilindro!

Ma questa è un’altra storia!

Il co(g)nato di Vomito

E’ risaputo: il Profeta di vino non ne capisce nulla! Il suo carnet alcolico spazia dai succhi al lampone allungati col gin, passa attraverso una variegata lista di birre scadenti, per finire ai cocktail di terza categoria (…quelli che si bevono alle feste di laurea, per capirci!). Coinvolto dai vapori alcolici entra quasi sempre in uno stato di orgasmo orale! I suoi amici lodano, ogni volta che ne hanno l’opportunità, i discorsi tenuti dal Profeta in stato di ebbrezza. “Peccato..”, dicono “..che non riusciamo mai a cogliere il senso di quelle parole sconnesse..”. Ebbene sì, il nostro caro amico, si prodiga a riempire la sua cavità orale con chili e chili di carne acciambellata! Indi per cui i suoi pensieri sono sempre declassati a banali gemiti e a frasi storpie, mentre gli amici lo incitano con slogan tipo:SUCA SUCA.

Lo incitano a battere il record! E una sera, era lì per lì a batterlo! Dopo la abituale lavanda gastrica del sabato sera, il medico di turno disse agli amici: “Ragazzi, un altro pò è si riempiva una lattina di coca cola! Mi dispiace ma ancora il record resta ad Aristide!”. Ci siamo informati: Aristide alla anagrafe Melu Sebbaggiu, e un noto trans locale che disputa gare bizzare, come la succitata “succhia fino al midollo!”. Il senso della gara è arrivare al pronto soccorso carichi carichi di liquido seminale nello stomaco, farselo togliere con iniezioni di acqua e aceto e misurare, in lattine di coca cola, la quantita ingerita.

Ma non divaghiamo! Il Profeta di vino non ne capisce nulla! Un giorno ebbe la fortuna di recarsi in Toscana, il motivo era: incontrare un vecchio collega, disperso da tre anni sull’isola di Cuba, e persuaderlo a non cambiare nazionalità. Vani furono i tentativi, Il kamikaze (il collega), rivide con piacere la faccia di cazzo del Profeta e girando le spalle gli gridò: “…il tuo Kant, la raggion d’essere e Freud, schiaffateli in culo. Non mi servono dove sto andando!”
La primavera Toscana, il verde delle sue ondulate campagne, l’odore dei boschi rapirono il Profeta, il quale decise di fermarsi in quella parte d’italia, il tempo necessario per carpire i segreti del vino a qualche viticultore locale. Abbandonò a piedi il mondo cittadino e s’incamminò verso i boschi, cantando una canzonetta allegra: “…cu tu dissi ca non ti vogghiu, fatti lu pagghiareru ca ti pigghiu…”. Dopo un centinaio di metri scoprì un piccolo sentiero che deviava dalla strada maestra.
All’angolo tra la strada maestra e il sentiero, vi era infisso per terra un cartello con la scritta: “la cascina del fungo”. Da quel punto, il Profeta si mise a mirare verso il luogo indicato dal cartello: distinse tra il verde e i cespugli una macchia nera: “..deve essere la cascina del fungo!” pensò! Imboccò il sentiero e dopo solo mezz’ora di cammino giunse alla cascina. L’accoglienza fu delle migliori, una donna robusta lo accompagnò dentro e lo fece accomodare. Le figlie della donna, due statue di Venere, apparecchiarono la tavola e portarono al pellegrino pietanze a base di fungo, facendo intendere che dopo l’abbuffata, l’ospite si sarebbe recato al piano di sopra per un riposino particolare. Così fù! Il Profeta si mosse verso le scale deambulando, salì i gradini con affanno e raggiunto il piano superiore, si mosse tra gli assi scricchiolanti dell’impiantito come se fosse un elefante ubriaco. C’è da dire che il nostro eroe, non aveva esagerato col vino della cascina, ma provava lo stesso la sensazione di euforico collasso, infatti si collassò sul letto e dormì per giorni. Quando riaprì gli occhi si accorse di essere imprigionato in una soffitta buia e di percepire solo uno spiraglio di luce da una fessura e dalla quale riusciva anche a cogliere alcune frasi tipo: “Ora lo sodomizziamo per bene..”, “..voglio proprio vedere come fa il cavallo di zio ad entrare nel forestiero..”, “..si si facciamolo!”….

Quello che accadde non si seppe mai. Molte voci discordanti sulla
vicenda, ma tutte che convenivano sul fatto che quel cavallo sodomizzò il nostro Profeta! Passarono settimane e dopo una lunga degenza, il Profeta ritornò sui suoi passi. La meta era una azienda vinicola sita dietro una collina. Strano ma vero, incontrò ai piedi della collina un contadino con un somarello. Così come a cuba, anche nel bel mezzo della campagna toscana, i contadini sono cordiali: aiutò il Profeta a superare la collina. I tre erano così disposti: Il contadino sul somarello, il Profeta dietro aggrappato alla coda della bestia, che spuntava, diversamente dagli altri suoi simili, direttamente dal centro delle cosce ed era poco pelosa e molto viscida. Solo dopo 20 km, i tre avevano coperto la salita e si stavano preparando a scendere dolcemente verso la valle, solo dopo tutti quei chilometri il Profeta si accorse che si era aggrappato al membro dell’asinello. Calò la notte e i tre bivaccarono attorno ad un fuoco ristoratore, si cibarono di formaggio e bevvero vino. Ma quando si conciarono per dormire, il Profeta notò un sorriso strano dipinto sulla bocca del contadino. Fu un sogno? Il contadino inforcò sotto le gambe il ciuchino e lo aizzò contro lo straniero, infoiato l’animale accrebbe il suo membro e passo da parte a parte lo sventurato, il quale gridò di dolore (o di piacere) contro la faccia pallida della luna.

Sta di fatto che il giorno dopo, il Profeta non trovò più l’asinello e il contadino, quindi procedette da solo il viaggio, aiutandosi con un bastone. Tutta quella fatica fu premiata poche ore dopo, il Profeta aveva davanti a sè la più imponente vigna che occhio avesse mai visto. Tra le viti, un gruppetto di neroAfricani cantava ritmiche canzoni blues, proprio come i loro avi nelle piantaggioni di cotone. Il Profeta che essendo un patito del blues si unì a loro; cantò i ritmi della musica nera e ne fu rapito. Calò di nuovo la notte, il gruppo di neroAfricani portò con se il nuovo amico; l’ospitarono in una capanna, capitanata da un certo zio Tom. Non un vecchietto riservato dai candidi capelli bianchi, ma un ercole nero incazzato e sempre in tiro. Quando vide la pallida faccia del Profeta, gli vennerò in mente pensieri tinti: quella notte scivolò dal suo letto ed entrò in quello del viso pallido. Lo avvinghiò da tergo possedendolo per ore intere. Alcuni giurarno che passando dalla capanna dello zio Tom, videro dalle finestre bagliori intermittenti e udirono grida disumane. I bagliori, erano le scintille che la rete del letto produceva sotto le continue sollecitazioni longitudinali dello zio Tom, che sembrava un toro e come tale gridava. Dopo lo zio Tom, fu il turno degli altri “membri” della capanna e così per giorni e giorni, fino a quando non si sparse la voce di un tizio che riusciva ad accogliere dietro a se anche pali della luce e giunse al proprietario della vigna.

Vomito è un geniale viticultore, i suoi vini sono pregiati e bollati con la sigla DOC. Ospitò lo sfortunato Profeta nella sua maestosa casa, lo mise in una delle camere migliori e diede il compito alla sorella di accudirlo. “Ore e ore di travaglio, la schiena si spezza. Ma dalla fatica e dal sudore, godiam bevendo il nettere d’amore.” La dolce voce di Chiara solleticava le orecchie del Profeta, il quale dopo alcuni giorni di agonia anale, si stava riavendo.

Vomito si attaccò al nuovo amico, lo portava con sè ovunque e pian piano lo iniziava all’arte del vino. Intanto nel cuore di Chiara cresceva il vero sentimento, sottoforma di vitigno robusto. Il Profeta notava il crescente interesse che sucitava in Chiara e una sera decise di ricambiare. I due si trovarono in camera di lei, spenta la luce si avvinghiarono sul letto. Dopo due mesi, il Profeta sposò Chiara e divenne cognato di Vomito, visse felice i primi anni del matrimonio ma il fato gli riservò una sorpresa. Un giorno, arrivò uno straniero in azienda. Vomito gli accorse contro, lo straniero disse di chiamarsi il Losco e un fulmine scuarciò il cielo anche se c’era bel tempo.

Il losco

A quel tempo ci incontravamo a Cuba per trascorrere qualche genuina ed innocente giornata sulle due collinette che si ergono poco sopra ogni cubana distesa. Raggiungere le collinette era facile, bisognava però percorrere alcune strade che tortuosamente si inerpicavano in cima fino ai cocuzzoli. Le nostre giornate passavano tranquille! Una tiepida sensazione di bagnato pervadeva il nostro corpo ogni volta che ci addentravamo nella foresta. Dante aveva proprio ragione: “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”.

Ricordo che un giorno io ed il kamikaze eravamo andati a tagliare delle canne da zucchero per distillare del rum alla ciliegia; mancammo parecchie ore. Al nostro ritorno, trovammo il losco intento a spalare terra; era proprio sopra la montagnetta di una donna cubana. Fin li niente di strano. Starà cercando dei tuberi pensai. I tuberi a Cuba sono molto ricercati. Sono l’ingrediente principale della criolla cubana per preparare l’ajiaco, il piatto nazionale, che, neanche a dirlo, è a base di yuca, una varietà di patata.

Il losco era un losco individuo. Aveva lunghi capelli, neri a causa degli escrementi degli scarafaggi che vi si erano annidati dentro. Credo che in realtà il suo colore naturale fosse il rosso. Era un tipo veramente strano. Qualche anno prima il nonno lo aveva cacciato di casa a causa del suo insulso modo di vivere.

Il nonno era stato un rispettabile colonnello dell’esercito del Duce. Un uomo tutto d’un pezzo al quale purtroppo era capita la peggiore delle disgrazie: aveva generato un fetido, insipido ed anonimo nipote vegetale. Un comunista con i soldi degli altri! Da quali meandri del DNA proveniva tale vergognosa indole, si chiedeva! Se Mendel, che aveva studiato i piselli, aveva ragione: chi fra i suoi antenati fu focolare del germe infetto? O peggio ancora, era lui stesso un portatore sano della malattia? Quest’ultima domanda tormentò il nonno portandolo alla morte tra atroci sofferenze. Pover’uomo, si starà ancora girando e rigirando nella tomba.

Tornando al losco, egli aveva vagato parecchi anni per il mondo; era stato sul cazzo proprio a tutti! Dopo aver sentito il detto “chi non scopa a Pordenone o è frocio o è ricchione” era andato appunto a Pordenone ed effettivamente dopo essere entrato in un locale per soli individui di sesso maschile ne era uscito ancheggiando malamente. Pensò, “se pago, almeno li mi daranno qualcosa”, e si diresse ad Amsterdam, ma niente; le vetrine dei negozi erano tutte chiuse per il gay pride. Andò alle falde del Kilimangiaro, ma ben presto si accorse che i watussi erano ben proporzionati.
Infine, approdò a Cuba dopo essersi imbarcato clandestinamente su un peschereccio libanese; lo avevano scoperto poco dopo la partenza a causa del fetore dei suoi capelli che stranamente nascondeva il cattivo odore del pesce marcio. I pescatori libanesi lo usarono, come esca, per sollazzare i loro pesci; infondo, anche i pesci hanno diritto a cinque minuti di svago dopo essere stati intrappolati nelle reti per una giornata intera. Per il losco fu un viaggio veramente duro! Sbarcati a Cuba, il losco riuscì a scappare dai suoi concubini. Tutto accadde una notte: i libanesi stavano approfittando di lui, si narra tre alla volta, ma ubriachi e soddisfatti, finito il giulivo dondolare, dimenticarono di incatenarlo.

Finalmente Libero! Il losco messo piede sulla bianca sabbia cubana, affamato ed ancora una volta ancheggiando malamente si diresse verso la strada in cerca di un autobus, un treno, o qualunque cosa lo portasse lontano da lì. E’ noto che i trasporti pubblici cubani non spaccano il secondo; non fu però difficile trovare un passaggio facendo l’autostop. Un contadino lo prese a bordo imbracandolo sotto la pancia del suo mulo; proprio come fece Ulisse per scappare da Polifemo: si mise sotto una pecora. Il mulo gemeva in sincronia alla sua andatura altalenante. Alla fine del viaggio era stanco ma soddisfatto, il mulo.

Non mi hanno chiesto niente pensava il losco dopo qualche giorno! Mi stanno offrendo il loro vino e le loro patate! Dopo un lungo travaglio realizzo che si trovava in un covo di comunisti. Gli uomini gli offrivano da bere e da mangiare, le donne gli facevano capire: ciò che è mio è tuo! Condividiamo! Sconvolto da una efferata eccitazione capì che quella era la terra promessa dove anche un comunista con i soldi degli altri qualunque, avrebbe potuto fare fortuna. Qui avrebbe potuto trombare piuttosto che essere trombato! Tutto in nome della condivisione dei beni degli altri! Era il paradiso terrestre, ma Eva invece della foglia di fico portava un cartello segnaletico con su scritto “Ingresso libero consumazione obbligatoria” proprio come in discoteca.

Ebbe una visione: il cerdo. Non ci volle molto, il losco capì che la patata e la yuca, che prosperano rigogliose nella scura foresta cubana, lo avrebbero fatto ricco. Di li a poco mise su una piantagione. Ai turisti vendeva la yuca, ai cubani la patata. Di buon mattino, 00:00 massimo 00:05 ora locale, con un vecchio camioncino rosso ruggine, portava le donne al mercato in modo che vendessero al banco le patate e la yuca. Puntava sulla quantità non sulla qualità. Il malsano spirito imprenditoriale tipico dei comunisti con i soldi degli altri stava trionfando. Ma il losco non si accontentava. Ebbe un’altra visione: quei tuberi potevano rendergli molto di più. Bastava trattarli fornirgli del valore aggiunto.
Pensò tra se e se:

“Taglia le estremità e pelala, separala dalla metà longitudinalmente e toglile la fibra dura interiore. Alla fine di questo processo riscaldala e condiscila. Una volta ammorbidita e scolata, mangiala innaffiandola con un pò di sugo”.

Era nata la manioca ocidental. Sì, devo proprio ammetterlo un idea geniale. Dopo due anni era proprietario di una catena di luoghi di ristoro, con annessa piantagione, nei quali si potevano consumare yuca e patata fresca.
Eh!!! Il losco! Chi l’avrebbe detto!
Purtroppo non tutto ciò che luccica è oro; a volte è solo un pezzo di vetro colpito dal sole, a toccarlo ci si può solo tagliare. Per arrivare fin lì, il losco era dovuto scendere a compromessi. L’aveva fatto con la peggiore delle iene, la più vorace delle orche, la più feroce delle arpie, anzi peggio la più carnivora fra le piante carnivore. La sua coscienza lo tormentava giorno e notte. Senza sosta!
Fu solo allora che si ricordò del patto di sangue che legava tutti noi fino alla morte di Andrea.

Cuba Libre

Avete mai sentito parlare del naso di Gogol? Beh, al Profeta accadde un fatto insolito, direi gogoliano: perse l’uccello!

Il Profeta è di aspetto sgraziato, con la faccia da gufo rincoglionito e per giunta con indigesti occhiali a cavallo di un naso che ricorda il Gonzo dei Muppet! Per via della sua fame da lupo, decise di spendere gran parte del suo stipendio per un viaggio nella Cuba di Castro; lo scopo era fare del sano turismo sessuale! Dopo tre giorni di cuba libre e mojito, fu attirato da una donna dai facili costumi: un pezzo di fica, sembrava una strada di montagna per via delle curve e dei tornanti che si ritrovava addosso! La donna lo prese per mano e lo portò in un vicolo semibuio. Appoggiata al muro, si alzò la minigonna e palesò al nostro amico la vagina! Il Profeta, fu invitato ad entrare e così fece!

Il giorno dopo, lo sventurato si svegliò tra le lenzuole dell’albergo. Abituato all’erezione mattutina, quando non sentì il membro cercare di far breccia attraverso le mutande, si preoccupò! Infilò le mani e rovistò tra le mutande, come se dovesse cercare qualcosa di piccolo in una borsa! Accorgendosi di non avere pene, scroto e peli pubici, ma solo una superficie liscia come quella dei manichini: lanciò un urlo e svenne! Si riebbe tre ore dopo. Controllava continuamente le sue parti basse, ma ahimè c’era sempre quella lucida superficie. Allora, iniziò ad andare a ritroso con la mente, come quando si perdono le chiavi e si cerca di individuare i possibili punti temporali nei quali, molto probabilmente, lo smarrimento poteva aver luogo. L’ultima volta che il suo membro era lì dove di solito deve permanere (fino a prova contraria!), ovvero tra le gambe, fu durante l’incontro con la prostituta. Da quel momento in poi fino all’atroce realtà, il Profeta non ricordava più nulla!

Giorni e giorni dopo ritrovò la donna, la seguì e con sua sorpresa, mentre lei si imbucava in una stanza di uno squallido palazzo, lo riconobbe e lo invitò ad entrare. Il Profeta ebbe la senzazione che la donna lo stesse aspettando da molto tempo! Patricia si chiamava! Patricia, si cambiò in un baleno, riapparve con un vestitino a fiori e senza il trucco. Gli porse una sedia, gli versò in un bicchiere un pò di rum e aprì un cassetto. Il Profeta alzò lo sguardo quel pò da sbirciare dentro, avvolto in un fazzoletto di pessima fattura c’era il suo apparato di piacere.

“Eccolo!” esclamò, “…è proprio lui!”. Nel proferire quelle parole, si alzò di scatto e fece cadere per terra bicchiere e rum. Il fracasso svegliò il pene, il quale uscì dal cassetto e si mise a girare per casa. Camminava fecendo forza sui testicoli, andava avanti e indietro e parlava o meglio imprecava contro Patricia. Il Profeta sbiancò e come un pesò morto, si lasciò cadere sulla sedia.

“Tu devi portarlo via!” disse seccata la donna, “..non posso tenerlo con me! E’ sempre in tiro e incità la mia vagina a fuggire con lui! Lei mi serve, devo lavorare, non posso lasciarla andare. Tu mi capisci, vero?”. Al Profeta girava la testa, il suo pene innamorato di una vagina cubana e per giunta di basso borgo. L’instinto fu di lanciarsi sopra a quel cazzo e afferrarlo, ma il pene lesto gli sgusciò di mano e salì sul tavolo. Il Profeta spalmato per terra, vide il suo pene sgorgersi dal bordo del tavolo, poi ammosciarsi e precipitare da 40 cm di altezza, per cadere con un tonfo lì vicino.

“Afferralo!” gridò Patricia. Lesto nei movimenti il Profeta lo immobilizzò e scappò via con lui! Furono vani i tentativi di incollarlo lì, tra le gambe. Il Profeta lo teneva sempre con se per paura che scappasse, anzi lo incappiò con un laccio delle scarpe e legò l’altra estremità alla gamba di una sedia. Gli ultimi giorni a Cuba furono i più duri, il nostro amico aveva perso ogni speranza; il suo pene non faceva altro che piangere. Poi il giorno prima della partenza, chiese al suo padrone di voler ritornare con lui e così fu!

Da allora, il Profeta usa sempre una precauzione. Si è fabbricato in casa: un anello annesso ad una catenina, che si allaccia alla vita; l’anello cinge il pene, nel caso in cui provasse a fuggire di nuovo, resterebbe appeso come un salame!

Il patto

Il sangue sgorgò dal naso di Andrea e fluì a terra. Due rigagnoli incontrollati dalle narici si dipartirono, seguirono il corso naturale del labbro e giunti al mento, reputarono interessante gocciolare e formare ai suoi piedi una pozzanghera. Sgomento di tutti noi! Andrea con occhi sgranati, si specchiava dentro quel rosso vivo mentre il Lunatico gli stava difronte. Fisso come un chiodo sul pavimento, mostrava il pugno che da lì a poco aveva centrato quel volto stupido e irragionevolmente poco interessante.

Eravamo in uno stanzone, al terzo piano del blocco centrale dell'università bordello e Salvatore si chiamava Turi Turi Turi. Il Profeta, mi spiegò che quando Turi Turi Turi occupava una stanza al quinto piano, dello stesso blocco, si faceva chiamare Turi Turi Turi Turi Turi; declassato e collocato due piani più giù, perse i due Turi in
coda. La paura di Turi Turi Turi è raggiungere lo scantinato, perchè in quella occasione e solo in quella occasione, sperimenterebbe l’annientamento dell’identità sociale dell’individuo, come conseguenza dell’istantanea sparizione degli ultimi tre Turi! Un pò tutti eravamo sorpresi dell’atto di forza che il Lunatico aveva voluto dimostrare, piazzando un destro storico sul naso butterato di Andrea. Mentre questo cercava di tappare l’emorragia, portandosi le mani al naso, ci avvicinammo alla pozzanghera di sangue, che si era allargata rapidamente. I nostri volti riflessi formarono un cerchio di faccie: il Profeta, il Lunatico, il Postino, il Pavone, il Losco, il Kamikaze e per ultimo Turi il ternario.

Mistica era l’atmosfera, un solenne silenzio ci avvolgeva, interrotto solo dai gemiti di Andrea. In quel momento stringemmo un patto, suggellato dal sangue di quell’agnello, sacrificato in onore della pura e semplice follia.

La voce timida di Turi il ternario, ci riportò alla realtà: come quando sogni e qualcuno apre la luce sciogliendo l’accogliente oscurità, e ti fa notare che tutto quello che avevi tracciato nel buio con la fantasia, ha la consistenza del vapore. “Ragazzi dove si va a mangiare?” disse e tutti convenimmo che era meglio andare! I dettagli del patto li avremmo stipulati forse dopo il caffè, tuttavia il Profeta decise di partire per Cuba e presto ognuno di noi, in un modo o nell’altro, per una ragione o per un’altra, l’avrebbe raggiunto!

domenica 27 gennaio 2008

La fine del trium(e)virato: the supremo technology

Qualcosa di strano stava accadendo; la RAM (Random Access Memory) era finita; i sensi di ragno del supremo erano sovraccarichi ed avevano cominciato a swappare. Le guerre sulla terra aumentavano a dismisura, ma in contrapposizione a Wall Street il prezzo delle azioni dei candelotti di dinamite era improvvisamente ed inspiegabilmente calato. Una mossa azionaria sbagliata, la sera prima gli era costata ben 347 milioni di dollari. Il supremo aveva ingaggiato il sultano ed il suo team di sviluppatori per realizzare una pagina web in cui inserendo latitudine e longitudine, magicamente,automaticamente e quantunquamente, si sarebbe aperta una finestra di google earth che puntava nei dintorni del punto prescelto. La realizzazione di un sistema software di cotanta potenza aveva richiesto mesi e mesi di lavoro, ma il risultato fu eccezzionale veramente. I primi test dello straordinario strumento informatico furono effettuati nei campi di canna da zucchero del kamikaze. La situazione sembrava normale ed il raccolto buono. Fotografando, invece, l'oceano si intravedeva chiaramente il galeone del Pavone che faceva la sponda fra Cina e Cuba.

Il supremo, ormai, sapeva per esperienza che il piano A, capitanato dal sultano e dal suo software sarebbe fallito miseramente; aveva per ciò pronto il famosissimo ed infallibile piano B.

Il supremo era conosciuto nei trinacri sobborghi anche come il puparo ed aveva ingaggiato un tale Geppetto affinché gli costruisse un nuovo burattino. Geppetto era un ex spia del kgb e non gli fu difficile entrare a Cuba con gli onori di Fidel. Presentatosi al kamikaze, che a Cuba era conosciuto anche come mastro ciliegia, si accordò per l'acquisto di un tronco, di ciliegio appunto, che diceva di voler salvare dalla distillazione. Tornato in trinacria, Geppetto sottopose il tronco a molteplici analisi, prendendolo pure a colpi di ascia per trasformarlo in un burattino. C'era però qualcosa di strano: il tronco sembrava essere vivo, alcune volte parlava pure. Successive analisi spettro-elettrografiche approfondite mostrarono infatti che il tronco era radioattivo ed in particolare contaminato da uranio impoverito.

Il sospetto s'impadronì del supremo come la gelosia del lunatico. Si stavano producendo nuove armi all'uranio impoverito? Si stava tentando di farlo fuori? Adesso fare qualcosa aveva priorità massima.

Il nuovo burattino era ormai pronto ed addestrato ad obbedire ciecamente ai fili del puparo. Ma da solo pinocchio, così il puparo aveva battezzato il burattino di ciliegio, non bastava! Serviva un organizzazione organizzata!
Il puparo aveva individuato una banda di quartiere composta da sette nani ed una donna dai facili costumi che si faceva chiamare Biancaneve; per fare lo spacchioso, ingaggio anche una tale Cenerentola affinché lavasse, cucinasse e stirasse per provvedere ai sette nani; Biancaneve era una donna moderna e non voleva fare un cazzo, o forse quello si.

Il piano B si componeva di due fasi.

La prima fase. Pinocchio si sarebbe gettato nell'oceano e sarebbe arrivato a Cuba trasportato da una balena dalla quale si sarebbe volutamente fatto inghiottire. I nani nel frattempo avrebbero scavato una galleria che dalla cantina del supremo, passando per lo stretto di Gibilterra, sarebbe sbucata direttamente sotto i capannoni del kamikaze. Il puparo avrebbe potuto percorrerla con la sua Giardinetta abarth. I nani cominciarono a scavare subito; picconare e spalare terra era lavoro duro, ma la sera tornati a casa Biancaneve li accudiva con amore. I nani mettevano i loro sette lettini uno accanto all'altro, Biancaneve vi si sdraiava sopra, concedendo tutti i suoi sette orifizi. Dotto e Mammolo si infilavano sotto la sottana, Eolo e Cucciolo le soffiavano sulle orecchie, Gongolo e Pisolo si riscaldavano con le narici, Brontolo è ovvio. Cenerentola nel frattempo, accudiva il fuoco, lavava i panni dei nani, preparava la colazione e scopava a terra. Pinocchio arrivato a Cuba avrebbe provveduto ad assumere un intero esercito di pupi; il puparo aveva infatti bandito un concorso per soli titoli in cui bastava inviare solo un CUrriculum BAstardo.

La seconda fase. I nani si sarebbero fatti assumere come masticatori di foglie di canna da zucchero e si sarebbero infiltrati fra gli operai. Cenerentola col curriculum che aveva, ma non senza la raccomandazione del puparo in persona, sarebbe stata assunta come ``bruciatore manager''; avrebbe fatto invaghire il kamikaze mostrandogli velatamente la zucca ed attirandolo, prima della mezzanotte, ad entrare nella sua carrozza. Il compito più difficile toccava però a Biancaneve. Il puparo non si fidava di nessuno nemmeno del Pavone; anche lui poteva essere coinvolto nel presunto complotto. Biancaneve doveva gettarsi in mare e quindi dopo essersi fatta salvare dal Pavone avrebbe dovuto subdolamente sedurlo per carpirgli il diario di bordo e la mappa del tesoro.

Raccolte le informazioni ed addestrato l'esercito di pupi, bisognava solo aspettare il momento propizio per sferrare l'attacco. I pupi, ignari del pericolo, si sarebbero lanciati in massa contro il kamikaze. Senza paura, guidati dai fili del puparo, sarebbero corsi incontro alla morte. L'esercito di pupi era comandato da quattro legatus: il passivo, il dissociato, il sultano ed appunto pinocchio. Il puparo utilizzava il mignolo e l'anulare della mano destra per muovere i fili del passivo, il medio l'indice ed il pollice della stessa mano per il dissociato. Il mignolo, il pollice ed il medio della mano sinistra comandavano invece i fili del sultano, le restanti dita, assieme al medio che era in comune, comandavano pinocchio che però a causa delle radiazioni di uranio viveva, in parte, di vita propria. In accordo alla struttura dell'impero romano, il più grande e complesso strumento di guerra mai ideato, i quattro pupi legatus avrebbero comandato una legione composta da dieci coorti, una per ognuna delle loro dita; ogni coorte sarebbe stata composta da 6 centurie di 69 centurioni.
I fili si sarebbero intrecciati in una complessa ed intricata ragnatela che solo i sensi di ragno del supremo puparo sarebbero stati in grado comprendere e districare. Le prede sarebbero rimaste inevitabilmente appiccicate ed intrappolate nell'apparentemente incomprensibile intreccio. Il supremo aracnide si sarebbe quindi avvicinato ed usando il suo opistosoma peduncolato ed i suoi cheliceri veleniferi ad uncino, avrebbe tramortito ed ucciso le vittime succhiando i loro liquidi interni con i pedipalpi, le piccole zampe a funzione sia sensoriale che copulatrice se le vittime fossero state femmine.

Tutto era pronto. I satelliti spia e google earth osservavano implacabili, ma c'erano tanti interrogativi. E se il software del sultano fosse stato attaccato da flotte di bachi da seta? I quattro pupi legatus sarebbero stati in grado di guidare l'esercito alla vittoria? Avrebbero avuto il coraggio di lanciarsi verso la morte pupando in prima linea?
La prima piccola prova sarebbe stata sufficiente per sferrare l'attacco finale.
Era tutto nelle delicate manine, cosparse di Nivea, di Cenerentola e Biancaneve. Avrebbero, le due donne, saputo fare il loro dovere?

domenica 20 gennaio 2008

La fine del trium(e)virato: la mossa del kamikaze

Gli affari del kamikaze andavano alla grande. I suoi candelotti coprivano il trenta percento del fabbisogno mondiale di guerra. Il muscovado ed il rum alla ciliegia, allungati col bromuro, ristoravano i mercenari. I cubani andavano a ruba nei pochi paesi in pace e sempre con un buon motivo per far festa e botti. La domanda però stava cambiando; il mercato era pervaso dalla richiesta di nuovi tipi di esplosivo: bisognava cambiare per non essere saltati dalla tecnologia.
``U tempu passa a cira si squaggia e u santu non camina'', gridava il supremo ai sottoposti.
Il pavone ascoltando in silenzio pensava: ``U lupu i malacuscenza comu faci pensa!''.
Il tempo è tiranno. ``Carpe diem'' pensava il kamikaze e non solo lui.
La mossa giusta al momento giusto. Ma quale momento? Quale mossa? Muove la regina: sotto scacco il Re. Ma il Re è il Re ed il suo cavallo alza il Gennaker e mura a dritta improvvisamente vira a destra, copre la regina senza ucciderla. Il Re è salvo, è magnanimo, grazia la regina in balia dei pedoni affamati. Solo venti secondi! Il popolo vuole armi all'uranio impoverito. Lo avevano capito tutti e tre. In un pollaio tre galli sono troppi. Ne basta uno?

Il kamikaze anticipando tutti aveva preso contatti con un tale Peter Pan, un vecchio imbroglione che con degli avanzati sistemi anti-radar era riuscito a nascondere una intera isola: ``l'isola che non c'è''. Peter Pan aveva 76 anni ma ne dimostrava appena 12, da piccolo, mentre cercava di imitare Icaro, era rovinosamente precipitato su un isola che si raggiunge da Cuba seguendo la seconda stella ad est e battendo passi fino al mattino. Trovatosi da solo sull'isola, dopo aver imprecato per giorni, aveva scoperto in una grotta una vena di uranio arricchito. Le radiazioni dell'uranio avevano avuto su di lui uno strano effetto: lo avevano fatto restare bambino. Dopo anni di solitudine sull'isola Peter Pan era riuscito a costruire una zattera ed inoltratosi nell'atlantico si era imbattuto nel galeone del pirata che al tempo padroneggiava quei mari: il pavone. Il pirata lo aveva tratto in salvo dall'ingordo mare durante una tempesta e lo aveva trattato come un figlio. L'ingrato Peter però aveva tentato di farlo fuori lanciandogli contro un orologio col cinturino in pelle di coccodrillo. Il morso dell'orologio aveva tranciato la mano del pirata in soli venti secondi dei due caritatevoli minuti preventivati. Il tempo è proprio tiranno. Nonostante, la mutilazione il pavone era però riuscito a scappare, infilandosi in una scialuppa di carta fatta sul momento, con una sola mano, usando un foglio fabriano A4 del peso di 80 grammi al metro quadro. La mano, che non fu nemmeno gradita all'orologio, fu data poi in pasto ad una pianta carnivora. La pianta dopo averla gustata inseguì ed ancora oggi insegue il pavone per concludere il pasto. Dal giorno della mutilazione il pavone montò al posto della mano un attrezzo multifunzione con un uncinetto ed una navetta per il chiacchierino. L'attrezzo gli permetteva sia di realizzare centrini e pizzi sia di scassinare agevolmente i PC in cui era solito entrare: per questo egli è noto anche come ``Uncino''.

Peter Pan presa coscienza del potenziale economico dell'isola aveva deciso di sfruttare la vena per arricchirsi a spese dell'uranio arricchito. Per farlo aveva rapito centinaia di fanciulli in tutto il mondo convincendoli che erano bambini sperduti. Ogni tanto Peter Pan cospargeva i bambini sperduti con della polvere di uranio che brillava a causa dell'emissione di radiazioni; Peter la chiamava polvere di stelle e mentre cospargeva convinceva subdolamente gli sperduti a fare pensieri felici non meglio specificati. I bambibi restavano bambini grazie al potere della polvere di stelle e Peter Pan li usava come manodopera a costo zero per estrarre l'uranio dalle miniere. Nonostante l'impegno degli stati più evoluti del sistema solare, Peter Pan non fu mai condannato per sfruttamento del lavoro minorile: è pur vero che i bambini erano bambini, oltre che sperduti, ma per all'anagrafe risultavano maggiorenni e vaccinati.

Il kamikaze aveva chiuso l'accordo con Peter Pan per 50.000 tonnellate di uranio l'anno, per un prezzo di 33200 dollari americani più IVA a tonnellata. L'uranio così com'era però serviva a poco: per fare le armi bisognava impoverirlo. Serviva qualcuno in grado di portare a compimento la trasformazione.
La scelta del kamikaze cadde su un tipo noto con l'A.K.A. di Robin Hood.

Robin di Locksley era ritornato in Gran Bretagna dopo una rocambolesca fuga dalla prigione nella quale era stato rinchiuso a seguito della sua cattura, avvenuta durante una sfortunata crociata contro gli infedeli sodomiti. Tornato in patria, in dubbie condizioni psico-fisiche , si era invaghito di un travestito che nei sobborghi di Nottingham era noto come Lady Marian. Ella/egli, sfruttando la crisi da astinenza sessuale di Robin, lo aveva convinto a diventare un ladro, anzi il principe dei ladri: Robin infondo aveva nobili origini. Robin fece fortuna grazie ad una azzeccata mossa pubblicitaria e ad uno slogan vincente: ``Salve sono Robin Hood rubo ai ricchi per dare ai poveri''. Egli infondo era solo un brigante e non faceva altro che il suo onesto lavoro: rubava ai ricchi per mantenere alto il tenore di vita di Lady Marion e comprargli le supposte per il mal di testa.

Robin Hood aveva creato una industria di poverizzazione nella foresta di sherwood, addestrando alla guerriglia una comunità di derelitti. Sherwood al tempo pullulava di numerose fazioni di briganti. Robin Hood nonostante ciò era riuscito a mettere tutti d'accordo e soprattutto sotto il suo comando. Dapprima si fece amico un certo Little John, sfruttando un noto complesso del cazzo dei maschi: le dimensioni del pene. Aveva promesso a Little John di far aumentare la lunghezza del suo pene di 2-3 centimetri se lo avesse riconosciuto leader del suo gruppo. Dopo aver mantenuto la promessa e dopo che la voce dell'evento miracoloso si era diffusa per tutta Sherwood, aveva fatto lo stesso con gli altri capo branco facendosi però pagare da questi la cifra di 3000 sterline a prestazione. La tecnica infondo era semplice ma allo stesso tempo geniale ed efficace; l'aveva imparata durante la crociata in terrasanta da un sacerdote sodomita. Consisteva nel rasare i peli nella regione pubica, ottenendo così l'effetto di allungamento del pene di 2-3 centimetri.
Per portare a compimento il lavoro commissionato dal kamikaze, i briganti di Robin Hood assaltavano i battelli che trasportavano le casse di uranio. Robin Hood saltava quindi sul ponte di comando e lanciando una freccia ai piedi delle casse di uranio intimava: ``Salve sono Robin Hood rubo all'uranio arricchito per impoverirlo''. L'uranio arricchito, spaventato dai briganti, irradiava gran parte dei suoi averi impoverendosi irrimediabilmente e diventando un isotopo 235U.

A questo punto mancavano solo un moderno mezzo di trasporto, che non poteva essere il galeone del pavone, ed un ricettatore con idee chiare e metodi moderni, di certo non il supremo. Il kamikaze trovò entrambe le cose nel capitano Nemo.

Nemo era un vero uomo di scienza che non aveva particolari scopi lucrosi. I due si misero d'accordo per un forfait annuo di 7000 tonnellate di uranio, 20000 casse di muscovado e 8500 di rum alla ciliegia. L'uranio sarebbe servito a garantire l'energia necessaria ad alimentare il Nautilus, un sottomarino a propulsione ed armamento nucleare progettato e capitanato da Nemo in persona. Il muscovado ed il rum alla ciliegia sarebbero bastati per dissetare l'equipaggio. Il Nautilus, con il consenso degli Stati Uniti, avrebbe caricato le armi all'uranio impoverito direttamente a Guantanamo, sbarcandole infine nei porti più importanti del globo ed evitando così i pericolosi tratti via terra.

Il kamikaze in questo modo era riuscito, ad innovare il suo sistema produttivo tagliando fuori sia il pavone che il supremo, ai quali continuava, tuttavia, a far credere che la produzione di candelotti di dinamite e petardi fosse ancora l'attività principale. Ma occhi implacabili scrutavano dal cielo.

domenica 13 gennaio 2008

Il Kamikaze al chiosco Cubano

Circa due anni fa nei lunghi corridoi del bordello-università si aggirava un tipo alto, robusto e grosso più del lunatico, anche se mangiava meno. Aveva un'andatura barcollante e lo sguardo perso nel punto in cui si incontrano le rette parallele. Per fare amicizia lo invitammo a venire con noi in un malfamato locale dell'Avana; accettò di buon grado. La sera arrivati nel posto ci sedemmo ad un tavolino io, il losco, il lunatico, il pavone ed il kamikaze. Una donna franco-brasiliana di bell'aspetto si avvicinò senza considerarci nemmeno di striscio e getto sul tavolo malfermo cinque foglietti macchiati di birra. Senza neanche guardarci scappò via. Tutti afferrammo i pezzi di carta alla ricerca del prelibato nettare che ci avrebbe dissetato. Dopo circa 20 minuti, la bella cameriera ritorno e disse con gli occhi chini sul blocco delle ordinazioni e voce roca: ``Che prendete?''. Il lunatico disse: ``un mojito''; io: ``un cuba libre''; il losco: ``un Avana Special''; il pavone: ``una Hatuey''; infine il Kamikaze: ``un distillato alla ciliegia''. La giovane donna giro di scatto le spalle e fuggi verso il bancone del bar lasciandoci dietro ad ammirarla; il lunatico le gridò: ``dei poc corn''. Ebbi due o tre secondi di sorpresa. Non capivo. Poi l'illuminazione; dissi al Kamikaze: ``vedi che il distillato alla ciliegia non è succo di frutta ma alcool puro al 99\% con un impercettibile aroma di ciliegia''. Il Kamikaze mi guardò con un intimidito sguardo bambino e dopo tredici secondi riuscì a dire: ``Ah''.
La brasileira arrivò e senza degnarci di uno sguardo fece scivolare il vassoio con le bevande sul tavolino sgattaiolando fulminea tra le sedie. I bicchieri erano tutti tozzi, grossi e scuri tranne quello del Kamikaze che era un piccolo Ballon, delle dimensioni di una biglia di vetro, fatto apposta per non disperdere i residui profumi di ciliegia: il contenuto era più trasparente dell'acqua distillata. Il Kamikaze alla vista del piccolo bicchiere restò interdetto, poi afferro il lungo gambo con la punta del pollice e dell'indice e lo avvicinò alle labra. La degustazione si fermò all'annusamento; i ricettori olfattivi infatti morirono sul colpo corrosi dai fumi dell'alcool. Disse: ``Ma non sa di ciliegia''. Lessi negli occhi del Kamikaze una forte incertezza e per paura che si facesse esplodere lo anticipai dicendo: ``Prenditi qualche altra cosa, quello lo bevo io''. Gli consigliai un guarapo; non sapeva cos'era ma accetto lo stesso il mio consiglio e dopo averlo gustato rimase soddisfatto. Mi chiese cosa fosse ed io gli dissi è un succo fatto con la canna da zucchero. Da quel giorno la sua vita cambiò; abbandonò tutto e spese tutti i soldi della borsa di dottorato per comprare una cubana distesa. Lavorò duramente, arò ed annaffiò. Le canne da zucchero dopo tre mesi germogliarono rigogliose, dirigendo le loro foglie verso il caldo sole cubano. Per il Kamikaze le canne da zucchero erano come il cerdo per il lunatico: non si butta proprio niente. Era riuscito a mettere su un rivoluzionario sistema poli-produttivo.
Il fusto delle canne da zucchero veniva utilizzato come involucro per realizzare candelotti di dinamite, con le foglie essiccate ed intrecciate si realizzavano le micce. La polpa della canna si lasciava fermentare, per 2 o 3 giorni e se ne ricavava una bevanda a metà strada tra la birra e il vino dolce: il muscovado. I resti della fermentazione venivano a loro volta distillati assieme a delle ciliegie per ottenere rum alla ciliegia. I pochi residui solidi di quest'ultima procedura venivano infine utilizzati come stoppini per i candelotti di dinamite. Con le canne di diametro minore il Kamikaze produceva ``i cubani'', che non sono i sigari, ma una sorta di pericolosi petardi che in occasione del capodanno andavano a ruba. Per esportare i candelotti, i petardi, il muscovado ed il rum alla ciliegia dovette scendere a compromessi con il pavone, che all'epoca era il più grande pirata informatico che imperversava nell'oceano Atlantico.
Il pavone trasportava clandestinamente ma col benestare di Fidel, direttamente dalla Cina, la polvere da sparo necessaria a costruire i candelotti di dinamite ed i petardi. Nel viaggio di ritorno da Cuba verso l'Europa, sempre clandestinamente, trasportava nascoste nella stiva del veliero intel dual albero due duo (un ottalbero in sostanza), le casse di rum alla ciliegia e di muscovado prodotte dal Kamikaze. Il supremo le avrebbe infine piazzate facendole prima sbarcare al porto di Catania usando il suo open 60HP, portandole poi in un conto deposito svizzero non controllato. I guadagni sarebbero quindi stati versati in una sicura banca virtuale dell'isoletta dell'atollo di Laamu realizzata dal Kamikaze in persona usando tutte le più moderne tecniche di sicurezza ed anti-intrusione informatica. Gli affari andavano bene ed il Kamikaze decise di fare fuori i suoi collaboratori. Non aveva fatto però i conti ne con il supremo, che come lo aveva creato poteva distruggerlo, ne con il pavone che era riconosciuto da tutti come il più grande pirata informatico che avesse mai solcato i mari.

La dieta

Io dico una delle mie minchiate tipo:''...una ricerca affannosa di cibo come se ci fosse un buco da riempire...``.
Chi decide di mettersi a dieta.
Con il losco, accompagnati da un allegro e ritmicamente altalenante ritornello, ci guardiamo in faccia e non riusciamo a smettere di ridere.
Il Kamikaze dice ''io sono più grosso di lui ma mangio meno``.
La pianta carnivora, in silenzio, divora tutto e tutti e complotta contro il supremo ed i suoi scarni sottoposti.

Eravamo io, Fidel, il losco, il lunatico, il postino et dulcis in fundo la lasciva all'osteria la ``comida''. La specialità della casa per tutti: il cerdo adentro la yuca; come al solito.
Il postino stava andando ad ordinare quando il lunatico, con agitato fare inconsulto, lo aggredisce dicendogli: ``Sei un coglione! Sei un coglione! Io ho sempre preso un insalata! Voglio la solita insalata non quell'impasto di potassio, proteine e carboidrati del cerdo adentro la yuca! Io ci tengo alla mia salute!''. Alla fine della frase, con il calmo fare pacato che lo contraddistingue, sferrò un pugno diritto sul naso del postino facendogli rientrare il setto nel cervello ed uccidendolo sul colpo. Finì lui le ordinazioni, poi tornò a sedere; una cameriera intanto aveva gettato il corpo esanime del postino sul ciglio della strada e puliva le ultime chiazze di sangue miste a molliche di pane per evitare che il gres porcellanato del pavimento si macchiasse irrimediabilmente. Arrivarono le pietanze; prima la specialità della casa, l'insalata arrivo un minuto dopo. Il lunatico mi sedeva accanto. Avevo appena inserito il coltello nella yuca quando mi accorsi che il cerdo si muoveva di moto proprio. ``Cazzo è ancora vivo'', pensai; mi voltai a destra e mi accorsi che il lunatico aveva cominciato a mangiare, nel mio piatto, prima di me. Con un coltello ed una forcone era intento ad affettare il mio stinco di cerdo. Il lunatico è pericoloso così com'é, figuriamoci con un coltello in mano: decisi di fare finta di niente e lui continuo indisturbato a mangiare il cerdo fino all'arrivo della sua insalata. Il pavimento era di nuovo pulito ed asciutto; tutto era tornato alla normalità. I cani avevano cominciato a divorare le carni del postino ed il cameriere stava arrivando imbracciando il piatto con l'insalata. Furono tre metri interminabili. Il lunatico fissava e scrutava il piatto e le cibaglie in esso contenute. C'erano: tre fette di prosciutto magro di cerdo nero, sei pezzi di mozzarella fatte con latte fresco di nutrice cubana, quattro foglie di Cichorium intybus miste a cubetti di canna da zucchero e mais bollito nel burro (fatto sempre con latte di nutrice cubana). Nell'angolo due teneri cuori di palma guarniti con del rum alla ciliegia, delle fettine di carote, radicchio e yuca bollita adornavano la romantica scena. Ricevuto il piatto il lunatico fisso minacciosamente il cameriere che spaventato chiese: ``Desidera altro signore?''. Il lunatico rispose: ``Si! Una ciotola d'olio extra vergine di semi di girasole, del sale, del pepe ed una forma di pane bianco di circa un chilo e mezzo''. Il cameriere arrivò subito portando quanto richiesto dal lunatico. Finalmente potevo mangiare: eravamo solo io ed il mio rancio, o quello che ne era rimasto. Il lunatico mangiò avidamente l'insalata in pochi secondi, spezzo la forma di pane con le mani unte e la ingoio morta affogata nell'olio. La ciotola dell'olio luccicava come se fosse stata lucidata con smac brillacciaio, ma era rimasto un tozzo di pane di circa 118 grammi: il lunatico decise di condirla con i brandelli di carne appiccicati sui rimasugli ossei nel piatto del losco ed ingrassarla strofinandola nel mio bisunto piatto. Ingoiò quell'ultima fetta senza che essa si accorgesse di essere circondata da un canale rivestito di papille gustative.
Eravamo tutti senza parole, la forza di volontà del lunatico nel rispettare la dieta era dirompente, ci aveva travolto: volevamo metterci tutti a dieta..
Il losco, a questo punto, posò il lunatico sulle sue gambe e battendogli le spalle aspetto pazientemente che facesse il ruttino; ci volle un po dato che non aveva neanche ordinato la sua solita Bucanero triplo malto.

Il desiderio

A sedici anni avevo appena preso coscienza del fatto che ero rincoglionito, quando una frase cambio totalmente il mio modo di guardare le cose. L'ho letta in un libro di filosofia che oltre alle interpretazioni incomprensibili dei grandi critici conteneva anche la semplice traduzione del testo originale che mi piaceva interpretare da solo. Nella mia, spero esatta, traduzione Kant affermava pressappoco quanto segue: ''...noi conosciamo delle cose solamente l'a priori che noi stessi vi poniamo nell'atto stesso di conoscerle...``. Per chi ha fatto il liceo, e questa frase l'ha sicuramente saltata a priori, essa fa parte della ''Critica della Ragion Pura``. La frase, che per un paio giorni di meditazione mi sembrò oscura, per fortuna poi si mostrò a me in tutta la sua offuscata chiarezza (ovviamente secondo il modo in cui io volevo interpretarla). Mesi dopo mi capitò di leggere un libro su Einstein, per fortuna composto prevalentemente da missive ad amici e non da astruse formule e simboli matematici: ''Come io vedo il mondo``. Poveraccio Einstein! Ha fatto l'errore di chiamare la sua più grande opera ''Relatività generale``; tutti interpretarono la cosa come ''tutto è relativo`` (cosa che invece aveva affermato, ben quattrocento anni prima, Galileo Galilei). Non sono stato in grado di comprendere la Relatività Generale e forse neanche quella ristretta, ma credo che Einstein abbia dimostrato o volesse dimostrare proprio il contrario e cioè che esisteva un sistema di riferimento o più semplicemente un punto di vista dal quale tutte le cose non sarebbero state relative ma semplicemente quello che erano. Ma allora perché ad alcuni di noi piace il rosso, ad altri il verde ed a me il blu? Visto che esiste un punto di vista dal quale le cose sono solamente quello che sono, perché non piace a tutti lo stesso colore e quindi perché non piace a tutti il blu? Arrivai alla conclusione che soffriamo tutti, con diversi gradi di sfumatura, di daltonismo cronico. Sia le frasi di Kant che di Einstein, in questo modo, mi quadravano e fui tanto contento che festeggiai con quattro bicchieri di vino di pachino, prodotto da me, ed un pacco di tarallucci di una nota biscotteria cubana. Pochi mesi dopo capii che era molto meglio inzuppare i Colussi nel latte munto con le mie stesse mani. Dopo il terzo bicchiere di vino, ero giovane, purtroppo la mia mente malata ed annebbiata dai fumi dell'alcolico nettare partorì un'altra assurda domanda: ''non è che, a causa del daltonismo cronico, alla fine desideriamo tutti la stessa cosa?``. Questa cosa, che tutti desideravamo la stessa cosa mi tormentava; mi sembrava una giustificazione alla guerra, alla lotta tutti contro tutti. Tutti desiderano la stessa cosa ma solo uno può prendersela quella cosa. Non pago mi chiesi: cosa sarà mai questa cosa? Se la desiderano tutti allora la desidero pure io e quindi se so cosa desidero so che cosa è. In realtà, non ho mai capito cosa fosse questa cosa che tutti desideriamo; anzi adesso mi sono convinto che non voglio niente.
Forse è questa la ragione della lotta tutti contro tutti: nessuno sa quello che desidera o meglio quello che vuole. Purtroppo ancora oggi, non pago, continuo a farmi tazze di tarallucci e Donna Fugata o, se ne ho, di Colussi e latte appena munto; mi sono chiesto: ''ma perché non si sa quello che si vuole?``. Questa volta però, per fortuna, mi sono risposto in tre minuti.

Un bambino nasce ed inizia a sperimentare l'ambiente, che è quello che è (Kant voleva dire proprio questo secondo me). Ha fame, quindi piange. L'intervento della madre nutre la creatura. La fame si presenta quotidianamente per mesi. La madre, ogni volta che il bambino piange, lo nutre. Non gioca con lui, non lo trastulla in braccio, non lo coccola: lo nutre. Ogni segnale del bambino viene interpretato dalla madre come una necessità di essere sfamato. Il bambino cresce. Quando è triste o fa i capricci la madre lo calma con un cioccolatino anziché prenderlo in braccio o giocarci. Il bambino inizia a chiedere sempre dolci e cioccolatini, delle carezze non sa che farsene. Il bambino interpreta quindi una sua necessità di affetto come desiderio di cibo, del cibo preferito, quindi tende a cercare questo. In pratica si è verificato uno spostamento tra il desiderio, ad esempio di coccole, ed il desiderio di un cioccolatino. Quindi il bambino desidera cibo per soddisfare un bisogno completamente diverso. La mancata soddisfazione del bisogno causata dal desiderio dell'oggetto sbagliato, porta ad una ricerca affannosa di cibo come se ci fosse un buco da riempire, come se ci fosse una lacuna incolmabile.

In sostanza, il desiderio iniziale diventa la base per successivi desideri:

necessità di essere sfamato -----> desiderio di una tavoletta di cioccolato al latte con le nocciole tostate -----> desiderio di denaro per acquistare la tavoletta di cioccolato al latte con le nocciole tostate -----> ricerca di un lavoro per guadagnare il denaro -----> annientamento di qualcun'altro per ottenere il lavoro migliore ecc..

La catena di desideri cresce a dismisura ed alla fine non ci si ricorda più neanche da quale desiderio si è partiti. Quindi si finisce per annientare qualcuno senza neanche riuscire a soddisfare l'ormai dimenticato desiderio di una tavoletta di cioccolato al latte con le nocciole tostate.

Meno male che a parte la tavoletta di cioccolato al latte con le nocciole tostate, preferibilmente Lindt oro, non voglio niente!

martedì 8 gennaio 2008

Le sette sfere del drago shenron

Le sette sfere del drago furono create dal Supremo, in persona, durante una sua vacanza a Cienfuegos, gli servirono per coprire un suo flirt (Forward Looking Innocuous Relationship Technique) con una gomma da masticare. Sono sferette dal colore arancione con delle stelline rosse; permettono, una volta riunite, di far apparire il drago Shenron, capace di realizzare qualsiasi desiderio. Le sfere si possono distinguere dal numero di stelline, da 1 a 7, che vi sono impresse; hanno i seguenti nomi in ordine crescente di stelle: Isshinchu, Ryanshinchu, Sanshinchu, Sushinchu, Ushinchu, Ryushinchu, Chishinchu.
Si sa che il postino deve morire sempre due o più volte. La sadomasochista vuole riunire le sfere con la speranza di poter esprimere il desiderio di riportare in vita l'amato portalettere. L'impresa sembra impossibile e la sadomasochista per buon augurio ha acquistato trenta casse di Amaro Montenegro ed ha cominciato a consumarle. In preda alla disperazione, ed alla cirrosi epatica, ella si avvicinò con una cassa dell'amaro al mio giaciglio e offrendomi anche le sue grazie mi chiese profezia. Le dissi: "...sorseggia l'amaro nettare o oppressa mentre ascolti il mio responso". A questo punto entrai in trans e proferii quanto segue che è stato trascritto dal migliore degli "amanuensi" il lunatico detto anche manolo:

"Ti svelerò la sfida che dovrai affrontare,
con l'altro e con te stessa dovrai lottare.
Per mancanza due ne ha rubato,
per questo esso si è dissociato.
Il petroliere con un fallimentare piano
l'ha senza dubbio comprata invano.
Il manto nero dovrai schiacciare
e dalla punta dovrai strappare.
Dell'imponente l'unico gioiello,
riposto alla base è del piedistallo.
Dovrai distrarlo con un inchino,
mentre giochi col suo bambino.
Ma stai attenta che poi da grande,
rigurgiterà come un lattante.
C'è una chioccia nel pollaio,
nessun gallo per il guaio.
Un solo istante avrai al giorno,
per le due prima del ritorno.
Congiunte le sfere dovrai tornare,
e del buon vino dovrai donare.
Ma stai attenta non cantare,
se le gesta non vuoi vanificare."

Non ho idea di quello che ho profetizzato in trans. Vi chiedo di aiutare la sadomasochista nel decifrare le strofe al fine di trovare le sfere del drago e riportare in vita il postino. Commentate!!!!!!!

venerdì 4 gennaio 2008

Il Maestro (Una storia di Natale)

“Oh oh oh! Baciatemi il culetto, piccoli mostriciattoli!”

Un omaccione canuto, con in dosso una gualdrappa rossa, sorseggiava un cognac sprofondato in una enorme poltrona. Guardava, un pino intero arrostire dentro un monumentale caminetto, i suoi pensieri vagavano seguendo il ritmo dello scoppiettio.

“Oh oh oh! Baciatemi il culetto, piccoli mostriciattoli!” ripeteva, con una voce cavernosa.
Arrivarono degli esserini, vestiti di verde e con le orecchie a punta. Uno di loro, a nome Patch disse: “E' di nuovo ubriaco!”
L'omaccione, ingollò un altro sorso di cognac e spinse con il piede fasciato da stivali di stoffa rossa, il pino nel fondo del caminetto. La fiamma si rianimò, una lingua di fuoco si rizzò e si contorse come un serpente, una pigna scoppiò e le scintille finirono su un antico tappeto arabo.
“Oh oh oh! Baciatemi il culetto, piccoli mostriciattoli!”
“Prima o poi, il vecchio manderà sta baracca in fiamme!” evidenziò Patch, mentre soffocava i focolai sul tappeto.
Il più saggio degli esserini, Pucth, con le mani conserte dietro la schiena si avvicinò al vecchio: “Scusi signore, la slitta è pronta! Le renne sono state foraggiate. I regali sigillati e posti nel sacco. Manca solo lei! Le faccio notare che è tardi!”
“Brutto nano, taci! So io quando è ora di partire!” disse il vecchio, e versò nel capiente bicchiere dell'altro cognac, poi bevve avidamente.

Erano le 23:45 del 24 dicembre, anno domini 2007. Al polo nord faceva un freddo cane, le renne scuotevano la testa cornuta, sbuffando dal naso polvere d'orata sotto forma di vapore.
Tre giorni prima, ore 23:45. In un bar dell'Avana un misterioso individuo tracannava birra e si ingozzava di patatine fritte. Aspettava impaziente, la venuta della sua cricca, intanto leggeva su un giornale, che quello del 2007 sarebbe stato il Natale più ricco della storia. Babbo Natale, festeggiava il rinnovo del contratto con la Coca Cola, avrebbe per quella occasione sbalordito tutti.
Tre tipi si avvicinarono al misterioso individuo, “eccoci Maestro!” dissero all'unisono. Difatti erano tre gemelli, Nip Nop e Nap o meglio conosciuti come i gemelli Derrick.
Erano famosi nel ambiente del borseggio, la loro catapulta infernale aveva fatto storia tra i ladri dell'Avana.
Nip e Nap correvano ai lati della vittima, mentre Nop li precedeva di due tre metri. Quando era il momento, Nop si lanciava a terra scivolando sulla schiena e tirando su i piedi a mo di trampolino. Nip e Nap, si smarcavano dalla vittima e raggiungevano il fratello che nel frattempo aveva ridotto di parecchio la sua velocità. I due saltano sopra i piedi di Nop e piroettando a dieci metri da terra, ripiombavano sulla vittima come falchi sulla preda: gli arraffavano tutto, anche le mutande se erano firmate. Poi scappavano urlando goooooaaaaal!

Ma chi è il Maestro?
Vi ricordate dell'Incognito? Vi ricordate che avevamo promesso di dire tutto su di lui? Beh, che Dio ci assista!
L'AKA Maestro, gli fu assegnato tanti e tanti anni fa....
Alcuni dicono che molto tempo fa, durante la stesura della divina commedia, Dante dentro una cella umida e spoglia, si lasciò scappare uno sternuto. Lo scoppio echeggiò per tutto il monastero, svegliando i monaci. Una scarsa teoria di coraggiosi, avanzava lentamente per i bui corridoi dell'ala nord; solo la fiamma di una torcia, in mano all'Abate, tremolava nell'oscurità. Col pugno chiuso, l'Abate picchiò due volte alla porta dell'Alighieri, passarono venti secondi circa e il divino poeta fece entrare i monaci. La cella era illuminata da una candela, che sfrigolava su un tavolaccio, sul quale c'era un disordine di fogli, una penna d'oca e mezzo bicchiere d'inchiostro. L'Abate fissò negli occhi Dante e esitante disse: “Salute Maestro!”
Il Maestro, anni dopo scappò da quel monastero, teneva sotto il braccio il bottino che il sommo poeta aveva racimolato, vendendo quel popò di commedia alla Mondadori. S'imbarcò a Genova come mozzo, su un cargo battente bandiera Niberiana; fece tre volte il giro del mondo perdendo i soldi in scommesse e battone di terz'ordine. Finalmente sbarcò a Cuba e s'iscrisse all'Università-Bordello dell'Avana, alla facoltà di giurisprudenza.

Avana, ore 23:47 del 21 dicembre. Anno domini 2007.

“Allora, il piano è il seguente. Nop tu ti occupi degli elfi, Nip e Nap voi pensate alle renne e alla slitta. Io, me la vedrò direttamente col pancione!” Il piano era stato organizzato nei minimi dettagli. Il gruppo uscì dal bar, l'Oracolo dell'ovest segnò le consumazioni sul conto di Turi Turi Turi.
Impiegarono tre giorni per giungere al polo nord. Erano le 23:47, del 24 dicembre, anno domini 2007, quando Nip e Nap aggredirono le renne che stazionavano davanti la dimora di Babbo Natale. Il Maestro e Nop, entrarono in quella reggia passando dalla porta centrale. Un lungo corridoio e poi una sala enorme, dove due rampe di scale, una a destra e l'altra a sinistra, salivano curve verso il piano superiore.

Rumore di passi!
Nop si acquattò dietro un mobile, il Maestro fece finta di nulla, era abile a camuffarsi!
Gli elfi scendevano una delle due rampe di scale, Pucth scuoteva la testa mentre Pacth sospirava di quando in quando. Nop, li aggredì alle spalle, imprigionandoli dentro un sacco di yuta.
“Il vecchio deve essere su!” disse al Maestro, questi smise di fare finta di nulla e salì i gradini della scala destra a tre a tre, e gli ultimi quattro a due a due!
Babbo Natale era sprofondato nel tipico sonno dell'ubriaco,russava animalescamente.
Il Maestro gli scivolò accanto, da una tasca estrasse un pugnale affilato, lo strinse con tutte due le mani e mirò al pancione di Babbo Natale. Con tutta la sua forza, il Maestro vibrò il fendente e .......

Erano le 00:01 del 25 dicembre. Anno domini 2007. Ci eravamo riuniti tutti alla Taverna delle Fate. Il Profeta stava raccontando una storia di Natale, ma sul più bello crollò in trance sotto l'effetto di tre pinte scure. Il Pavone e il Lunatico ne approfittarono per sgranchirsi le gambe, mentre il Losco si accese una sigaretta. Turi il ternario andò in bagno, dicendo che un rotolo di carta igienica prima gli aveva fatto l'occhiolino. Il Kamikaze smanettava sotto il tavolo con della nitroglicerina.
Il postino entrò nel bar, affannato ci disse che nei cieli dell'Avana era apparsa una stella cometa. Noi tutti, ci catapultammo fuori e puntammo il naso all'insù. Era una notte stellata, una striscia luminosa la rigava, disegnando una parabola. Noi tutti, manifestammo il nostro stupore con un prolungato: wooooow! Uno per volta esprimemmo un desiderio, poi ci avviammo festosi per le strade dell'Avana, col cuore pieno di gioia e con la consapevolezza che Turi il ternario avrebbe, anche questa volta, onorato il conto.

Verso le 00:15 del 25 dicembre, anno domini 2007, nei cieli scuri dell'Avana si udirono suoni di campanelli e una voce rauca che gridava: “Oh Oh Oh.....Baciatemi il culetto piccoli mostriciattoli!”.

mercoledì 2 gennaio 2008

Ossessione (Dialogo semiserio sulla gelosia)

“C'è una diretta relazione tra ossessione e legge di Hook. Quest'ultima, la legge di Hook, sancisce una lineare dipendenza tra la deformazione di un corpo e la forza applicata ad esso, ovviamente fino ad un certo punto. Da lì in poi, le deformazioni sono inequivocabilmente perenni. Continuando ad assoggettare il corpo alla forza, si giunge a un punto di rottura: il corpo si spezza nella zona in cui è massimo il suo assottigliamento. In egual modo, l'ossessione stressa il sistema nervoso di un individuo, fino a scagliarlo nel bisso della follia......”.
La macchinetta del caffè disse: “....prelevare!”. Il Losco le infilò la mano nel ventre e ne estrasse un bicchiere di caffè fumante. Poi assieme al Pavone e al Profeta, si spostarono in fondo al corridoio; il Losco si accese una sigaretta e sbuffò il fumo attraverso la fessura della finestra.
Era un tardo pomeriggio cubano in quell'Università-Bordello.
Il Profeta continuò la sua tesi: “...l'ossessione è uguale al prodotto tra la radice quadrata dell'inverso dell'occasione, e il doppio della gelosia. Una mancata occasione, fomenta la gelosia e irrobustisce l'ossessione: il sistema nervoso si sfibra, le sue elongazioni diventano anelastiche. L'individuo, annebbiato da una gelosia ossessiva, deraglia dai binari della razionalità, cava una rivoltella e la punta contro quell'occasione mancata: 'Muta puttaaaaaana! T'ammaaaaazzu'! E' chiaro?”.
Il Losco sbuffò dell'altro fumo, fissò il Pavone e insieme annuirono!

La macchinetta del caffè disse: “...due palle e lungo...prelevare!”. Il Lunatico le infilò la mano nel ventre e ne estrasse un bicchiere di caffè: lungo e con due dosi di zucchero!
Si avvicinò ai tre e chiese dei chiarimenti al Profeta.
“Mettiamo il caso che la tua ragazza e un tuo amico...”, ma il Lunatico lo troncò subito: “..caro mio, fai un altro esempio. Io non sono geloso!”
“Allora, mettiamo il caso che la tua assenza di gelosia, infastidisca la tua ragazza. Questa si comporta in modo affettuoso con un tuo amico o chiunque sia, esclusivamente per testare il tuo amore. Tu che non sei geloso, tranquillamente, utilizzando le buone maniere vai da lei e le comunichi il tuo punto di vista, ovvero:'..io non sono geloso, ma certi atteggiamenti non mi vanno'. 'Bingo!' fa lei e continua col suo piano. Ecco che hai perso un'occasione per manifestarle le tue vere sensazioni:'..cazzo, non mi va che ti strusci con quello!'. Ti incupisci e ti incazzi sempre di più, perché lei continua a strusciarsi proprio con quello, ma tu non sei geloso....”.
La macchinetta del caffè disse:”..passa a prendermi alle nove e mezza...prelevare!”. Turi Turi Turi le infilò una mano nel ventre e dopo un po ne estrasse un bicchiere di cioccolato.

“...Arriva il momento in cui tu incominci a seguirla, perché non ti fidi. Un giorno, la vedi entrare, proprio con quello, in un motel. Che fai?”.
Il Lunatico non rispose subito, ci furono dieci secondi di silenzio, il tempo necessario affinché Turi il ternario consumasse la sua cioccolata calda, baciasse sulla fessura delle monete la macchinetta del caffè, ricordasse a quest'ultima che andava a prenderla per le nove e mezza, e ritornasse al posto di lavoro.
Digrignando i denti, con la faccia chiazzata di rosso e gli occhi iniettati di sangue, il Lunatico disse: “..Io non sono geloso!”.
Il Losco spense la sigaretta e fece cenno al Pavone di andare, la situazione stava diventando pesante.
Ed ecco che spuntano la Lasciva e il Sautino.
Lei avvolta da un cappottino arancione, con le unghie masticate da poco e stretto al petto un fascicolo di burocrazia d'annata. Lui, il Sautino, con un condensatore elettrolitico per le mani. I due girarono l'angolo chiacchierando a distanza ravvicinata, senza accorgersi dei quattro in fondo al corridoio.
Non se avete mai visto un film western: una lunga strada deserta e polverosa, due pistoleri agli antipodi, il sole a picco e al cuore Ramon, al cuore....
Il Lunatico fissò intensamente il Sautino negli occhi, poi diresse lo sguardo sulla Lasciva e la vide ridere sotto i baffi.

“...te lo dico io quello che succede..”, continuò il Profeta.
“Tu entri nella stanza del motel, sfondando la porta e brandendo una 44 magnum. Fissi i due amanti e scopri che giocano a monopoli. Questo ti manda in bestia. Punti il revolver, e fai fuoco contro Vicolo Corto, buttando giù lo schieramento di casette verdi, facendo volare le carte dell'imprevisto. Lei scappa tre caselle più in là, dicendoti non è come pensi. Lui deve saltare il turno. Tu giri la carta delle probabilità e leggi: 'Muta puttaaaaaana! T'ammaaaaazzu!'. Ecco cosa succede!”.
Il Sautino si scrollò di dosso lo sguardo del Lunatico e infilando la mano nel ventre della macchinetta del caffè, porse il bicchiere alla Lasciva.
Il Lunatico si rivolse al Profeta, coprì quei venti centimetri tra la sua faccia e quella del collega, e grugno a grugno proferì verbo:”...io,non sono GELOSO!”.
Come una mandria di gnu percorse il corridoio, passò vicino al Sautino e alla Lasciva, girò l'angolo e sparì dentro il dipartimento.
La Lasciva finì di bere il caffè e scappò verso le scale, liberandosi dell'impaccio del Sautino. Uscì all'aria aperta e si senti sollevata. Poi un pensiero le sbocciò in testa, lo assaporò a lungo e salendo in macchina sorrise, questa volta spalancando la bocca. Lei era diventata una prima donna!