Quel dì in piazza dell'aquila, mi diede tanti di quei calci che quando mi rialzai, dieci minuti dopo, avevo la nausea. Ricordo, solo a sprazzi, che avvicinai alla fontana della piazza e ficcai la testa sotto il canale d'acqua fresca. Quando il mio corpo si rifece sentire, ero tutto un livido, guadagnai la porta di casa strascicandomi per strada come un derelitto.
Passarono dieci giorni. Passeggiavo per le vie del paese e tra i piedi mi rotolò un tubo zincato, con filettatura alle estremità. Mi chinai, incuriosito dallo strano incontro, lo raccolsi e lo guardai attentamente. In quell'istante sperimentai l'associazione di idee! Qualcuno di voi ha visto mai l'odissea, quella nello spazio? In quel momento ero io l'ominide che modificava profondamente la 'storia dell'uomo'. Ma ahimè, nessun monolite assisteva silenzioso alla mia scoperta!
L'istinto mi portò a piazza dell'aquila, sedetti sugli scalini del monumento ai caduti e aspettai paziente. Il tizio non tardò, mi vide e si avvicinò con un sorrisetto idiota disegnato sulla bocca. Non esitai, strinsi nella mano il tubo zincato, con la filettatura alle estremità, e lo colpì ripetutamente sul ginocchio destro. Cadde a terra con mia soddisfazione, “come una pera che cade” dissi tra i denti! Mi alzai con uno scatto di reni, sempre col tubo in mano, e reputai interessante piazzargli in faccia un calcio. Perse un pezzettino di incisivo e dal naso gli sgorgò un fiotto di 'emo'! Riconsiderai la faccenda del calcio. Quindi spinsi il mio piede di nuovo verso quella faccia, provocandogli stavolta un taglio sullo zigomo.
Il tizio era steso per terra e bofonchiava qualcosa, incomprensibili frasi; mi abbassai, sapevo che non era morto, dimorava in uno stato di semi-coscienza. Lo toccai. Con meraviglia, notai che la sua carne, aveva la stessa consistenza della mia. Fissai quell'occhio che per tanto tempo mi aveva tormentato. Lo scandagliai fino al fondo dei suoi pensieri, nulla di anomalo trovai.
Mi chiesi cosa mi faceva paura in lui. Di getto risposi a voce alta: “l'aria tra te e me!”. E' quella porzione di spazio tra due persone, quando si trovano l'una di fronte all'altra. In quell'area, tra la punta del tuo naso e quella di chi ti sta davanti, dimora qualunque tipo di paura.
Da quel giorno, mi costrinsi di coprire quella irrisoria distanza, fino al cozzo dei nasi; mi costrinsi ad non avere più paura.
Avevo ancora in mano il tubo zincato, con la filettatura alle estremità, lo lanciai con tutta la mia forza, roteò nel cielo sbiadito dalla canicola. Dopo una lunghissima evoluzione, quasi odisseica, si conficcò nel parabrezza di un'auto. Pioggia di cristalli e tuoni di antifurto. Scappai, come scappa un tredicenne, con i tacchi delle scarpe che sfioravano le orecchie. Piangevo con i singhiozzi, era la mia prima volta. La prima volta che non provavo paura.
Cazzo! Volevo soltanto un'adolescenza normale, confrontarmi civilmente a colpi di dialettica e no con pugni e oggetti contundenti vari. In quel periodo ero fissato con W. Allen e la sua New York. Avevo visto da poco 'Qualcuno volò sul nido del cuculo' e sapevo cucinare la bolognese, il sugo intendo. Leggevo Sciascia e Pirandello e avevo picchiato a sangue il mio primo bullo!
1 commento:
Losco, non pensare piu' a queste cose. Prendi a calci i ciottoli e rincollali piuttosto.
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